La storia dei tram dei Castelli Romani è costellata di grandi successi e anche di qualche epico disastro.
Nel 1880, nel fiorire dei nuovi collegamenti su rotaia che spuntavano da ogni parte, il Comune di Marino decise di costruire un collegamento diretto con Roma. Per limitare il dislivello il progetto prevedeva che la stazione di Marino fosse costruita in basso, nella piazza detta allora del borgo delle Grazie, o delle Monache, oggi borgo Garibaldi.

Il giorno dell’inaugurazione della linea tramviaria, il 30 ottobre 1880, partì da Roma un convoglio speciale. Era composto da nove carrozze, che oggi farebbero sorridere (lunghe appena due metri e 60 centimetri ognuna!) e trainato da tre locomotive a vapore. A Ciampino, che allora era poco più di un incrocio di linee, furono sganciate le carrozze e composti tre convogli, ognuno con una locomotiva e tre carrozze. Dei passeggeri quasi nessuno capì bene il perché. Le pendenze per Marino impensierivano i macchinisti già alla partenza, ma il cerimoniale non ammetteva deroghe.

Fanfare, ornamenti, nobili, prelati, legati reali, valletti, gentildonne, non mancava niente. I tre tram a vapore cominciarono a inerpicarsi tra i vigneti di Marino, uno dietro l’altro. I binari descrivevano ampie anse per cercare di addolcire le salite, ma le cose presero quasi subito una brutta piega. Nelle curve più strette le locomotive arrancavano e cominciarono a slittare sui binari. A nulla valsero le tante palate di sabbia gettate sotto le ruote. L’ordine successivo fu di alleggerire i vagoni facendo scendere tutti i valletti e gli assistenti. La situazione non migliorò. Allora fu il turno di tutte le personalità di rango minore, anch’esse furono fatte accomodare in aperta campagna.

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Dopo molti tentativi il capotreno si arrese all’evidenza, servivano delle carrozze a cavalli. Scelse due giovani aitanti e gli disse di correre a Marino. Intanto, tra un tentativo e l’altro, l’attesa si allungava. Nel frattempo a Marino l’euforia per l’evento si era decisamente stemperata; quando gli ospiti riuscirono ad arrivare era pomeriggio inoltrato. Molti giunsero a piedi, altri su carrozze a cavalli e i tre tram, quasi vuoti, riuscirono finalmente a conquistare la stazione di Marino (che non era ancora completamente costruita) molto più tardi. Gli invitati accolsero con sollievo l’annullamento quasi completo dei preamboli cerimoniali e le pietanze del tanto agognato ricevimento furono riscaldate. Il pranzo a palazzo Colonna fu più che degno.

E il tram a vapore? Un po’ meno. Ebbe i giorni contati fin da subito. Non solo certo per il disastro dell’inaugurazione. La scarsa aderenza in salita, la lentezza del collegamento, la sconvenienza dell’esercizio, portarono al suo rapido decadimento e dopo qualche anno alla definitiva chiusura, nel 1889. La gestione del tram a vapore del 1880 fu anche una tragedia finanziaria. Un’opera per cui allora fu stipulata una convenzione novantennale, che si rivelò inutile e diseconomica già dal primo giorno.
Fatti lontani nel tempo, che tuttavia ricordano da vicino le catastrofi progettuali di certe opere incompiute, delle quali i nostri territori purtroppo si fregiano.

Nello stesso anno della chiusura del tram a vapore, nel 1889, entrò in esercizio il treno Roma-Ciampino-Marino-Castelgandolfo-Albano (che avrebbe dovuto raggiungere anche Nemi). Successivamente, nel 1906, fu inaugurata – questa volta con grande successo – la linea tramviaria (elettrica) dei Castelli, che collegava Roma con diversi Comuni, tra cui Marino.

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