Aule di tribunale e opinione pubblica: il confine tra diritto d’informazione e giustizia
Nota della Camera Penale di Velletri “A. Fagiolo”
La frequente spettacolarizzazione dei processi penali rischia di instillare nel pensiero comune che l’esito del procedimento, al quale è sottoposto l’imputato, possa essere condizionato attraverso una buona dose di pressione mediatica e sociale. Di Giusto Processo e Democrazia si può parlare solo evitando di esporre l’organo giudicante alle indebite influenze non solo da parte dei media, ma anche da parte di chi vi abbia un interesse di natura morale ed economica nonché defensionale.
Aprire i microfoni alle parti processuali (tutte indistintamente), ora per validarne la strategia difensiva, ora per assicurarsi l’empatia del pubblico mentre il giudizio è in corso, offre una visione parziale e quindi potenzialmente distorta dei fatti oggetto dell’inchiesta medesima, non rappresentando affatto un esercizio democratico, men che mai liberale – pensiero questo espresso e ribadito dalla Giunta dell’UCPI.
Per queste ragioni, il direttivo della Camera Penale di Velletri stigmatizza iniziative di propaganda e pubblicitarie all’interno e fuori delle aule di giustizia (quali l’eccessivo utilizzo dei mezzi di informazione e social, slogan, striscioni, blog, magliette, gadget, ecc.) quando il processo è ancora in corso.
Al tempo stesso auspica che gli avvocati si astengano da qualsiasi attività, o comportamento (anche omissivo), che possa incoraggiare la parte assistita a mettere in scena condotte volte a condizionare, non solo l’opinione pubblica, ma anche l’esercizio stesso della giurisdizione.
I processi penali devono celebrarsi nelle aule di giustizia secondo le regole di legge poiché ogni iniziativa diversa ed in particolare la spettacolarizzazione dell’intera vicenda processuale quando la stessa non si è ancora conclusa, rischia di pregiudicare gravemente lo stesso esercizio della giurisdizione. – Unione Camerali Penali Italiane.
Il Direttivo
Foto di copertina: Racool_studio su Freepik.
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