Fino ad una ventina di anni fa il lago Albano conservava delle praterie di vegetazione acquatica discretamente continue, oggi quasi del tutto scomparse. Le ultime indagini svolte dal botanico Mattia Azzella dell’Università di Roma Sapienza in collaborazione con l’ARPA, hanno confermano questo cambiamento.
La presenza di questa fascia di vegetazione acquatica sommersa era uno dei principali elementi di interesse ambientale che hanno indotto la Regione Lazio, nel lontano 1995, a inserire il lago nella rete ecologica europea Natura2000. Designato come Zona Speciale di Conservazione con il nome “Lago Albano”, ai sensi della Direttiva europea “Habitat (92/43/CEE), custodiva sott’acqua poco più di 40 ettari (circa il 7% delle acque libere) di alghe di grandi dimensioni (Caroficee) e di piante acquatiche, queste ultime con fusti, foglie, fiori e frutti, meno comuni ma altrettanto rigogliose.
Nelle ultime indagini, nell’estate scorsa, il settore occupato negli anni precedenti da lembi discontinui di queste praterie, già allora in diminuzione, si presentava fangoso e limaccioso, ricoperto da un sottile strato in sospensione di colore grigio-violaceo, con totale assenza di vegetazione sommersa.
Arretramento delle acque del lago Albano
I motivi della scomparsa sono sicuramente diversi, ma i presupposti già c’erano da alcuni decenni. Vanno con ogni probabilità ricercati nel brusco abbassamento del livello delle acque lacustri, arrivato a oltre 6-7 metri negli ultimi 40 anni, con una accelerazione nell’ultimo periodo. Questa variazione del livello e il conseguente arretramento di diverse decine di metri delle acque ha ridotto i fondali sommersi idonei alla crescita della vegetazione acquatica, che predilige profondità ridotte, poco presenti nel Lago Albano, per lo più concentrate in gran parte nel settore nord occidentale (lato del bosco). L’aumentata torbidità delle acque si aggiunge a questa grave crisi ambientale a seguito dell’eutrofizzazione crescente delle acque lacustri, così come documentato dalle analisi svolte negli anni dall’ARPA Lazio: acque meno trasparenti a seguito di sedimenti e microalghe in sospensione diminuiscono la penetrazione della luce e quindi le profondità “utilizzabili” dalle praterie sommerse.
I pesci alieni pascolatori
E infine, si aggiungono i pesci alieni, ovvero non appartenenti alla fauna originaria del lago, introdotti illegalmente (le introduzioni di specie aliene sono vietate in tutto il territorio nazionale e a maggior ragione nelle aree protette e di interesse europeo). Oltre alle precedenti immissioni di persici reali, persici sole e persici trota da lungo tempo presenti nelle acque del lago, si sono aggiunte almeno dagli anni 2000 anche le carpe erbivore o amur. Questi grandi pesci della famiglia delle carpe, originarie dell’Asia Orientale, sono dei voraci mangiatori di piante acquatiche, come ricorda il nome, ed è molto probabile che possano essere stati la causa ultima che ha portato alla scomparsa della vegetazione acquatica sommersa: i 40 ettari di vegetazione acquatica per decine di carpe, ognuna delle quali può raggiungere agevolmente oltre 20 chili di peso, sono una risorsa limitata che può essere “sovra-pascolata” in poco tempo.
Le “nuove” rive del lago: tra vegetazione ripariale e stabilimenti balneari
Ma qualcosa di positivo è anche capitato: il ritiro delle acque ha reso disponibili habitat da conquistare da parte delle comunità biologiche. La vegetazione ripariale ha così occupato in pochi anni decine di metri di riva e di terreni umidi con rigogliosi canneti e nuclei di salici ed ontani. Purtroppo, parallelamente è avanzata anche la richiesta da parte degli stabilimenti balneari di spiagge disponibili per piantare sdraio e ombrelloni.
Insomma, in una situazione ecologico-ambientale difficile da gestire, con la qualità delle acque da migliorare, le comunità vegetali da far tornare e le esigenze turistiche a cui rispondere, il Parco Regionale dei Castelli Romani, dove ricade il nostro lago, avrà il suo da fare per gestire le tante criticità.
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