Negli anni ’30 del secolo scorso nella Pianura Pontina furono abbattuti 70.000 ettari di bosco. Rimasero in piedi solo 3.000 ettari di alberi e la falda si abbassò. Molte specie igrofile (che amano l’acqua) deperirono, ma grazie alla biodiversità, altre specie comunque sopravvissero e il bosco continuò a esistere. La biodiversità, ossia la grande varietà di specie, aveva salvato il bosco, perché laddove un albero che richiedeva molta acqua non poteva resistere, poteva crescere un’altra specie di albero, adatta ad ambienti più secchi.

In altre parole, la biodiversità è garanzia di sopravvivenza. È una polizza di assicurazione per la vita dell’uomo sulla Terra.

Fino a secolo scorso in Italia esistevano 8.000 varietà di frutta, oggi si arriva a poco meno di 2.000, delle quali 1.500 sono considerate a rischio di scomparsa, anche per effetto dei sistemi della distribuzione commerciale che favoriscono le grandi quantità, la perfezione della forma e la standardizzazione dell’offerta.

L’ONU ha ripetutamente lanciato l’allarme sul patrimonio naturale della Terra, pesantemente a rischio tra perdita di habitat, cambiamenti climatici e consumi non sostenibili.

L’Homo sapiens rappresenta il singolo fattore che incide di più sul cambiamento del clima e della superficie terrestre. Negli ultimi 20 anni è stata artificializzata una superficie estesa quasi quanto l’Australia. Il ventaglio dei cambiamenti è a scala planetaria: abbiamo stravolto il ciclo del carbonio, ridotto in maniera drammatica la biodiversità (-80%); contaminato il 75% delle terre non coperte da ghiacci; estraiamo circa 100 miliardi di tonnellate di materiali all’anno; spostiamo più sedimenti di tutti i fiumi del mondo; mutato il clima della Terra.

Su quest’ultimo punto, il clima, siamo di fronte a cambiamenti così veloci, da lambire pericolosamente la soglia di adattamento degli ambienti naturali. L’obiettivo di stare entro 1,5 °C di innalzamento della temperatura della Terra entro il nostro secolo appare sempre più problematico e – per esempio – molti dei traguardi che ci siamo assegnati sulla decarbonizzazione restano ampiamente sottodimensionati rispetto agli allarmi lanciati dalla comunità scientifica.

Trasformare la sfida climatica in crescita economica e occupazionale dipenderà fortemente dalle politiche messe in atto per accompagnarne lo sviluppo. Occorre elaborare strategie capaci di valorizzare le risorse naturali e imprenditoriali già presenti, in Italia e nel mondo, con un’idea diversa, fondata sul progresso sociale, più che sul mero sviluppo economico.

Ma il modello energetico fossile continua a caratterizzare il nostro sistema di vita, sempre più insostenibile: un problema per l’economia, il lavoro, la salute nell’intero pianeta.

Non è più rinviabile il tema di una riorganizzazione radicale dei processi di produzione, consumo e lavoro, impostati secondo i princìpi di giustizia ecologica e sociale, da cui discendono quelli economici.

Abbiamo invece scarsissimi progressi su modello di sviluppo, cambiamento climatico, fuoriuscita dal fossile, lotta alle diseguaglianze, lavoro giusto, reddito di base, diritti delle donne, benessere delle persone, migrazioni.

Tra le voci più critiche in questa direzione, quella di papa Francesco: “Il sistema economico mira ai consumi, senza preoccuparsi della dignità del lavoro e della tutela dell’ambiente”. Concetti di necessaria radicalità che qualcuno scambia superficialmente per un estremismo preconcetto.

Se vogliamo continuare a dare senso a una ricorrenza come quella di oggi, la Giornata mondiale della Biodiversità, forse è meglio ricordare che non è il pianeta che deve essere salvato, ma le persone che ci stanno sopra!