Il Primo Maggio è una giornata simbolica, ricca di storia e significato, dedicata alla celebrazione dei diritti dei lavoratori. È fondamentale usare questo momento per riflettere criticamente sullo stato della sicurezza lavorativa in Italia. Quasi tre morti al giorno sono una testimonianza schiacciante che non si fa abbastanza per garantire la sicurezza nei luoghi di lavoro.
I dati, per quanto importanti per comprendere la dimensione del problema, non raccontano l’intera storia. Ogni statistica è il riflesso di vite perdute, famiglie infrante e comunità colpite da tragedie evitabili. Gli incidenti mortali plurimi, come quelli avvenuti a Brandizzo e in Abruzzo, non sono solo cifre ma rappresentano fallimenti nella nostra capacità di proteggere chi lavora.
È imperativo che queste tragedie diventino un punto di svolta per una riflessione più profonda e azioni concrete, immediate. L’aumento delle denunce di malattie professionali nel 2023 segnalano che i rischi lavorativi si stanno evolvendo e che le misure attuali non sono sufficienti.
Questo Primo Maggio dovrebbe quindi servire non solo per riflettere ma anche per agire. È essenziale che la sicurezza sul lavoro sia vista non solo come un obbligo normativo da rispettare, ma come un elemento fondamentale del benessere dei lavoratori, che richiede un impegno continuo e innovativo. Governi, aziende e sindacati devono collaborare per sviluppare e implementare strategie che anticipino e mitighino i rischi, facendo della prevenzione una priorità assoluta.
La sicurezza sul lavoro è una responsabilità collettiva che richiede una vigilanza costante e un impegno proattivo. Solo così possiamo sperare di trasformare le statistiche in storie di successo e garantire che ogni lavoratore possa ritornare a casa sano e salvo al termine della giornata lavorativa. Celebrare i diritti dei lavoratori significa anche lottare per un futuro in cui la sicurezza e la salute siano una realtà per tutti.
Contemporaneamente l’organizzazione del lavoro è caratterizzata da precarietà, mancanza di un salario minimo e stipendi bassi. Tutti elementi che contribuiscono in maniera determinante a un perdurante stato di disagio sociale, che per una fetta molto grande di lavoratori significa una vita di povertà. Sopravvivere con poche centinaia di euro al mese è quasi impossibile. Lo stato di disagio produce macroscopici effetti sulla nostra società, sulla denatalità, sull’impossibilità di accedere a cure sanitarie, su progetti di vita, di studio, professionali, che impoveriscono la società, ossia tutti noi.
Una visione mercantile sempre più spinta applicata a ogni piega del lavoro ha tolto dignità al lavoro e qualità alle vite delle persone.
La politica finora non ha fatto quelle drastiche scelte che servirebbero per invertire la rotta.
Non possiamo più aspettare.
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