Il Consiglio di Stato ha respinto l’appello contro le ordinanze del Comune di Monte Compatri, che avevano disposto la demolizione di un impianto per la produzione di asfalto e la cessazione immediata delle attività. Il caso, giunto all’ultimo grado di giudizio amministrativo, verteva su una serie di irregolarità urbanistiche e ambientali, tra cui l’assenza di autorizzazioni valide e la destinazione agricola dell’area.

L’impianto era stato originariamente autorizzato negli anni ’90 per supportare un’attività estrattiva, poi cessata. Conclusa la fase di utilizzo legata alla cava, il terreno sarebbe dovuto tornare alla destinazione agricola prevista dal Piano Regolatore Generale. Tuttavia, l’impianto è stato successivamente utilizzato per scopi industriali senza ottenere i titoli richiesti, una situazione che ha portato il Comune e la Città metropolitana ad intervenire.

Una sentenza che rafforza i vincoli territoriali

La sentenza del Consiglio di Stato ha ribadito che le autorizzazioni iniziali, rilasciate in deroga alla destinazione agricola dell’area, erano temporanee e strettamente legate all’attività della cava. Una volta cessata questa funzione, il terreno sarebbe dovuto tornare alla sua originale destinazione d’uso agricola, impossibilitando lo svolgimento di attività industriali. Inoltre, è emersa l’assenza di fondamentali autorizzazioni ambientali, come quelle per lo smaltimento delle acque e il controllo delle emissioni, e la mancata realizzazione delle opere necessarie per prevenire rischi alle falde acquifere.

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L’impianto, considerato anche “insalubre” ai sensi della normativa sanitaria, è stato giudicato incompatibile con il contesto agricolo circostante e con le misure di tutela delle risorse naturali. La sentenza ha così confermato l’obbligo di demolizione e il divieto di proseguire qualsiasi attività.

Implicazioni per il territorio

La decisione del Consiglio di Stato di confermare l’ordinanza del Comune di Monte Compatri invia un messaggio forte e inequivocabile: il rispetto delle regole urbanistiche e ambientali non è opzionale, neanche in nome dello sviluppo economico. In un territorio già fragile come quello dei Castelli Romani, ogni attività deve conformarsi alle normative vigenti, senza scorciatoie o deroghe indebite. Il caso dimostra che agire al di fuori dei confini stabiliti dalla legge comporta conseguenze concrete e inevitabili.

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