Dalle prime imitazioni alle esperienze sul grande schermo. Lo showman si racconta ai lettori di «Castelli Romani»
Continua la nostra rubrica “Primo piano sui protagonisti”, uno spazio dedicato a figure di spicco del nostro territorio che si sono distinte nel campo dell’arte, dello sport, della cultura, della scienza e del mondo del lavoro. Questa volta ci immergiamo nell’affascinante universo di Shany Martin, poliedrico showman originario di Velletri.
Con oltre 15 anni di percorso artistico alle spalle, Shany Martin si distinto come uno degli artisti dei Castelli Romani più eclettico e apprezzato. Dal talento versatile, ha spaziato dal teatro alla musica, fino al doppiaggio, riuscendo a raggiungere il cuore del suo pubblico a ogni performance. La nostra testata giornalistica ha avuto l’opportunità e il piacere e di intervistarlo ed esplorare più da vicino la sua carriera, dai primi passi agli ultimi successi.
Iniziamo con i tuoi primi passi nel mondo dello spettacolo. Quali sono stati i tuoi primi passi nella carriera artistica? Quali sono state le sfide più rilevanti che hai affrontato all’inizio?
Qualche tempo fa ho ritrovato dei vecchi filmini di famiglia in cui, da bambino, imitavo Alberto Sordi nel film “Un Americano a Roma”. Rivedendoli oggi, a distanza di circa vent’anni, mi stupisco di quanta voglia avevo di divertirmi con le voci dei grandi attori che vedevo nei film in VHS senza minimamente accorgermi o pensare che un giorno avrei potuto farlo diventare il mio lavoro.
Da adolescente il mio unico obiettivo era quello di diventare un bravo chitarrista, così misi in piedi un piccolo gruppo musicale (il nome della band era “Deep” perché era la marca stampata sulla grancassa della batteria e quindi ci sentivamo avvantaggiati) e per debuttare ci iscrivemmo a un concorso canoro di paese. Il giorno prima dell’esibizione, il tastierista ci diede forfait e fummo costretti a trovare una soluzione: mi feci timidamente avanti facendo presente che oltre a suonare la chitarra mi divertivo anche a sperimentare qualche piccola imitazione. I miei inizi di imitatore sono stati questi.
Poi, a diciassette anni, sono entrato nell’Accademia di recitazione diretta da Enrico Brignano con il sogno di diventare un attore a tutto tondo. Le lezioni erano serali e non c’erano mezzi pubblici per raggiungere la scuola. La mia famiglia investì tanti soldi per farmi andare e tornare con un taxi due volte a settimana per un anno. Molti mi prendevano in giro credendo fossi ricco senza sapere che la mia famiglia, come tutte le famiglie, faceva dei sacrifici enormi per permettermi di studiare. Da lì in poi è successo tutto a catena ma nulla per caso: le prime apparizioni in Rai, la stagione ad Edicola Fiore con Rosario Fiorello, l’esperienza al Teatro Puff di Lando Fiorini, i primi one man show, i primi (e mai ultimi purtroppo) manager imbroglioni, lo Zelig di Milano e il lavoro di autore di testi per altri comici, le esperienze come comparsa a Cinecittà per poi arrivare a dire una battuta, poi due, poi tre e così via, le tournée in giro per l’Italia, la radio, il doppiaggio e tante altre cose arrivate non grazie alla fortuna (o meglio, non solo) ma grazie alla curiosità, allo studio e ad una sfacciata faccia tosta che da sempre, ahimè, si rivela sempre un’arma a doppio taglio.
Nel corso della tua carriera, hai dimostrato una notevole versatilità, spaziando tra teatro, musica, cabaret e doppiaggio. Come hai sviluppato questa capacità di adattamento?
Penso di dover dire grazie a Gigi Proietti.
Quando scoprii per la prima volta i filmati del suo “A me gli occhi please” del 1976 vidi un attore che sapeva fare tutto: recitare il comico, il drammatico, cantare, ballare, suonare. Credo di aver incamerato senza accorgermene la convinzione che fare l’attore significasse fare quello che faceva Gigi Proietti sulla scena.
Così per ogni genere di show (comico, drammatico, musicale) cercavo i filmati e le biografie dei grandi nomi dello spettacolo e cercavo di rubare con gli occhi. Ho soltanto avuto – e continuo ad avere – tanta curiosità. Curiosità su più argomenti possibili, anche apparentemente lontani, perché prima o poi l’occasione di mettere in pratica quello che si è letto, visto e studiato – persino anni prima – arriva.
Parliamo dei tuoi più recenti progetti cinematografici: “Come è umano lui” e “Mi fanno male i capelli”. Come hai affrontato queste esperienze nel mondo del grande schermo?
In “Come è umano lui”, film dedicato alla vita di Paolo Villaggio per la regia di Luca Manfredi in uscita nel 2024, ho partecipato con un piccolo cammeo nel ruolo di un operaio negli anni sessanta. In “Mi fanno male i capelli” di Roberta Torre (vincitore al 18° Festival del Cinema di Roma e presentato al Cinema Nuovo Sacher di Nanni Moretti), invece, ho fatto il mio esordio come doppiatore. Pur essendo due approcci completamente diversi al mestiere dell’attore – nel primo caso davanti alla macchina da presa e nel secondo come voce fuori campo – ho avuto l’occasione di lavorare divertendomi.
Per interpretare un operaio degli anni sessanta ho approfondito il periodo del boom economico Italiano, ho visto documentari, le pubblicità dei caroselli dell’epoca, ho letto libri, ho parlato con operai professionisti per studiare i loro movimenti, le loro espressioni, per ascoltare i toni delle loro voci. Ho anche fatto un’esperienza come operaio per capire cosa voleva dire fare quel lavoro per riportarlo sullo schermo con la maggiore veridicità e spontaneità possibile.
Nel film “Mi fanno male i capelli”, invece, ho approcciato al personaggio in maniera ancora più maniacale. Per circa tre settimane ho parlato usando soltanto la sua voce, dentro casa mi facevo chiamare come lui, facevo colazione come lui. Dicesi “metodo di recitazione Strasberg”: non fare il personaggio ma diventare il personaggio che si interpreta. Per me tutto questo significa divertirsi… quale altro mestiere ti consente di tuffarti in cose simili?
Considerando il tuo legame con i Castelli Romani, quali progetti o iniziative pensi possano essere avviate per promuoverne la cultura e l’arte? Cosa consiglieresti ai giovani che desiderano intraprendere questo percorso?
Il Cinema Italiano dovrebbe diventare materia nelle scuole. Soprattutto nelle scuole dei Castelli Romani. Quanti di voi sanno che Velletri era abitata da Eduardo De Filippo, Alberto Sordi, Anna Magnani, Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman, Gianmaria Volonté? E ditemi, quanti di voi si sono accorti che Velletri è stata nominata perfino in un film di Woody Allen e in tante altre pellicole cinematografiche? Pochi se non pochissimi, e sicuramente fra quei pochi non c’è nessun rappresentante della cosiddetta Generazione Z.
Proiezioni nelle scuole, corsi di teatro, visite guidate nelle vecchie ville dei grandi attori della nostra commedia all’Italiana, creazioni di piccole targhe e monumenti che descrivano da quali personaggi cinematografici, in quali film, come e perché è stata presa in considerazione proprio Velletri (e quindi i Castelli Romani).
Le autorità competenti dovrebbero incentivare le compagnie teatrali dialettali del territorio a scrivere commedie su temi attuali e non a riproporre da decenni spettacoli in cui siamo dipinti sempre e solo come burini ignoranti attaccati al fiasco di vino e al canestro di uova. Non sto dicendo che bisogna cancellare la storia e il passato, bisognerebbe semplicemente andare avanti.
Non sarebbe persino bello far collaborare i musicisti di ogni paese dei Castelli e commissionare loro composizioni di “inni” dedicati ai posti in cui vivono? Chiedo, eh. Sono anni che ripeto queste cose, non ho ancora trovato nessun rappresentante della cultura locale disposto a sedersi e a parlarne faccia a faccia.
Ai giovani (ma perché, io so’ vecchio?) che desiderano intraprendere un percorso nel settore dello spettacolo non saprei cosa consigliare. Anzi, una cosa forse c’è: prima di iniziare fatevi crescere dieci ettari di pelo sullo stomaco, perché raramente è un mondo che dà segnali di umanità, meritocrazia e di fratellanza.
Nel celebrare il talento e l’arte di Shany Martin e i suoi ultimi successi, emerge un importante messaggio per le nuove generazioni. La sua dedizione alla sua passione e il legame profondo con i Castelli Romani sono una fonte di ispirazione. Attendiamo con entusiasmo i futuri progetti di Shany Martin, sicuri che continuerà a regalarci momenti straordinari nell’ambito artistico.
Foto di copertina: Marco Lautizi.
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